archeologia egizia, uno spunto

Diversamente da ciò che si potrebbe immaginare lo studio dell’archeologia egizia, all’interno del più ampio contesto dell’egittologia, è una disciplina  giovane, ancora in via di definizione e soggetta ad interpretazioni differenti a seconda delle visuali di approccio.

Uno dei contributi maggiormente degni di rilievo forniti dello studio della civiltà e dall’archeologia egizia sta nella discontinuità storica ed intellettuale rispetto a quei popoli che costituiscono oggigiorno il sostrato antropologico e culturale della nostra civiltà. L’avvicinamento alla archeologia egizia richiede, pertanto, un continuo raffronto con il più  vicino contesto storico ed etnologico. Riprova ne è il fatto che, per quanto il nocciolo geografico della civiltà faraonica sia identificato nella terra d’Egitto, l’influenza di questa cultura abbia avvolto l’intero bacino mediterraneo fino ad estendersi oltre il Sahara e il Corno d’Africa, e arrivando ad affacciarsi nell’Asia minore sino all’Iran.

Storicamente – a parte i restauri degli obelischi egizi ad opera dei romani – solo dopo il XVII secolo, grazie del monaco gesuita Athanasius Kircher, iniziò a plasmarsi la figura dell’egittologo. Dobbiamo proprio al suo ampio carteggio una panoramica di ciò che si aveva della civiltà egiziana a quei tempi, compresi i primi studi sui geroglifici che costituiranno un passaggio importante verso la futura decifrazione di tali ideogrammi.

Ma il primo importante mattone nel campo dell’archeologia egizia dobbiamo necessariamente collocarlo nel 1798, anno in cui Napoleone organizzò una missione esplorativa nelle terre del Nilo. A conclusione della missione fu pubblicata, nel 1809, un’opera in 25 volumi denominata Description de l’Égypte nella quale vennero catalogati tutti i monumenti e i reperti archeologici ritrovati e si delineò un ritratto della pregressa civiltà sotto il profilo geografico e antropologico. A quella spedizione si deve anche il ritrovamento della celeberrima Stele di Rosetta: ovvero ciò che costituì la chiave di volta per la decifratura della scrittura geroglifica.

Proprio grazie a tale reperto e al lavoro di Jean François Champollion siamo oggi in grado di leggere e comprendere i geroglifici. L’archeologo francese – ora considerato il padre dell’egittologia moderna – aprì le porte ad una nuova e rinvigorita comprensione dell’antico Egitto, fornendo una nuova chiave, la scrittura, che, affiancandosi ai classici studi antropologici e scientifici, permise un approccio più completo all’intera disciplina.

Da quel momento in poi una nuova spinta animò le successive spedizione archeologiche: Champollion, insieme all’italiano Ippolito Rossellini, tornò in Egitto nel 1828 e nel 1842 toccò al tedesco Karl Richard Lespius. Alla fine  del XIX secolo lo studio dell’archeologia egizia era ormai una dottrina che aveva acquisito piena dignità scientifica ed accademica.

Nel XX secolo si collocano però altre importanti tappe: la scoperta della tomba di Tutankhamon, ritrovata nel 1922 all’interno della Valle dei Re ad opera di Howard Carter (scoperta divenuta famosa anche per la presunta maledizione che colpì alcuni membri della spedizione) e il trasloco del complesso templare di Abu Simbel, avvenuto fra il 1964 e il 1968 a causa della costruzione della diga di Assuan, il quale, col patrocinio dall’UNESCO, vide l’impegno di ben 113 paesi nell’opera di spostamento dei monumenti.

Il resto è storia di oggi: gli scanner CAT, il radiocarbonio, le analisi del DNA e tutte le più moderne tecnologie offrono adesso la possibilità di più approfondite analisi sia negli scavi a terra che il quelli subacquei, oltre ad aprire aspettative fino a poco tempo fa impensabili negli studi di laboratorio.

L’archeologia egizia è un mondo in continua evoluzione, in cui storia, tecnologia e mistero si fondono in una simbiosi enigmatica ma quanto mai affascinante.

Marco Barone

Archeologia egiziana nuove scoperte

Archeologia Egiziana

La notizia ci giunge dal sito web di discovery channel:

Un complesso sistema di caverne è stato scoperto sotto le piramidi a Giza, in Egitto. Si tratta di un enorme sistema di caverne, camere e tunnel che corrono sotto le piramidi di Giza, secondo quanto riferito da un esploratore britannico, che ha dichiarato di avere trovato traccia di un mondo sotterraneo ormai scomparso, e appartenute all’epoca dei faraoni. Si tratta di una delle più importanti scoperte recenti di archeologia egiziana.

Queste grotte sono attualmente popolate solo da pipistrelli e da terribili ragni velenosi, si trovano esattamente sotto le piramidi egiziane della località di Giza e si trovano in un giacimento minerario.

Chi ha fatto i ritrovamenti di archeologia egiziana è l’esploratore inglese Andrew Collins, che ha dichiarato che si tratta di un sito di archeologia egiziana mai scoperto prima, un delicato ecosistema che include colonie di pipistrelli e specie di ragni che abbiamo tentato di identificare come la vedova bianca.

Ne ha descritto i particolari in un libro, pubblicato lo scorso mese di settembre 2009, con il titolo ‘Sotto le Piramidi’; che tratta della scoperta del sito sotterraneo dopo avere letto le memorie di un diplomatico inglese ed esploratore del diciannovesimo secolo, chiamato Generale Henry Salt.

Come dichiara l’esploratore inglese Collins: “Nelle sue memorie il diplomatico racconta come ha scoperto un sistema sotterraneo di catacombe a Giza nel 1817, coadiuvato dall’esploratore italiano ed esperto di archeologia egiziana Giovanni Caviglia.

I documenti dell’epoca registrano che i due esploratori percorsero diverse centinaia di metri all’interno delle grotte scoprendo quattro camere successive, collegate da passaggi. Con l’aiuto dell’esperto di archeologia egiziana e di egittologia britannico Nigel Skinner-Simpson, l’esploratore Collins ricostruì il percorso dell’esploratore dell’ottocento Salt e localizzò l’entrata delle catacombe perdute in una tomba nella zona ovest, apparentemente non registrata fino ad allora nella zona della Grande Piramide di Giza.

Invece la tomba conteneva un passaggio nella roccia, che portava ad una larga grotta naturale. Collins affermò che: “Abbiamo esplorato la grotta, ma la rarefazione dell’ossigeno ci ha impedito di continuare ad andare avanti. Si tratta di un posto pericoloso, con pozzi e gole verticali, colonie di pipistrelli e ragni velenosi.

Secondo quanto detto da Collins, le grotte sono vecchie di migliaia di anni, se non di centinaia di migliaia di anni e potrebbero essere legate al fatto che gli antichi Egizi credevano nell’oltretomba.

Come ha dichiarato l’esploratore britannico Collins: “Antichi testi funerari appartenenti all‘archeologia egiziana alludono all’esistenza di un mondo sotterraneo nelle vicinanze delle piramidi di Giza. Questa recente scoperta avvalora questa testi.”

L’antica piana di Giza, secondo quanto detto dall’archeologia egiziana era anticamente conosciuta con il nome di Rostau, che significa ‘apertura del passaggio’. Lo stesso nome venne dato alla regione che contiene l’antico mondo sotterraneo conosciuto con il nome di Duat.

Come ha annunciato l’esploratore Collins ai redattori di Discovery Channel:

“L’apertura del passaggio fa riferimento ad una entrata del sotterraneo, che si narra esisteva sotto l’altipiano”. Collins, inoltre, fa riferimento al fatto che nonostante la sua ricerca esaustiva non esiste traccia delle grotte nei moderni registri e studi di archeologia egiziana.

Michele Venturini