STAGE DI ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE

Sabato 6 e 7 novembre 2010 ore 9 – 17

Città PRATO

 Lo stage è rivolto ad archeologi, studenti di Scienze Umanistiche e Naturali, insegnanti, operatori museali, guide archeologiche, naturalistiche, ambientali o turistiche, operatori culturali e appassionati. Tale corso tratta la tecnologia dell’Uomo nella Preistoria.

All’interno di esso verranno affrontati diversi procedimenti

tecnologici dei nostri antenati.

Programma di massima:

riconoscere le materie prime adatte alla scheggiatura (la selce, il diaspro, l’ossidiana, le quarziti…); analizzare le varie tecniche di scheggiatura (diretta, indiretta, pressione e ritocco) e le regole che determinano la scheggiatura, oltre alla prova pratica da parte dei partecipanti.

Produrremo sperimentalmente alcuni strumenti, tra i quali il chopper, l’amigdala, la lama, il grattatoio, il bulino, il perforatore ecc… e cordicelle realizzate ritorcendo fibre vegetali, tendini e budella di animali.

Vedremo quali sono gli usi e i vantaggi del fuoco, oltre alle tecniche di accensione (con percussione e frizione), attraverso la dimostrazione e le prove pratiche.

Verrà lavorata la pelle, spiegata la modalità di concia attraverso la dimostrazione e la prova pratica del raschiamento di una pelle.

Per quanto riguarda i colori minerali, verranno presentati l’ocra e altri ossidi e minerali;

si affronterà la loro preparazione e utilizzo, con realizzazione di

pennelli, tamponi, e altri strumenti che verranno utilizzati per le diverse tecniche pittoriche (compresa quella a spruzzo).

I partecipanti potranno realizzare una collana utilizzando la steatite e

conchiglie fossili e attuali, lavorare l’osso; produrre aghi d’osso e con le relative crune.

Infine verranno eseguite prove pratiche di utilizzo di armi come il propulsore e il bolas.

I partecipanti al termine dello stage avranno sperimentato personalmente le varie attività e quindi saranno pronti per svolgere laboratori a terzi sull’accensione del fuoco con le pietre focaie, sulla realizzazione di aghi d’osso e monili in conchiglia e steatite per mezzo della levigazione, sulla realizzazione di perforatori e grattatoi in selce, e sulla produzione di cordicelle in fibre vegetali e animali.

Gli oggetti prodotti durante lo stage rimarranno di loro proprietà.

 Laboratorio di Archeologia Sperimentale

a cura di Ilaria Tomaselli

www.archeologiasperimentale.it

alfio@archeologiasperimentale.it

0573 545284 dopo ore 20.30 cell. 3405488956

archeorealismo: archeologia ed arte contemporanea

Archeorealismo è una nuova forma d’arte contemporanea. Nasce a Napoli ad opera di un collezionista di arte antica e di archeologia, il dr. Evan De Vilde, artista e cofondatore del Daphne Museum, una galleria d’arte archeologica che si trasformerà nel tempo in una raccolta di oggetti archeologici destinati ad essere tramutati in sculture contemporanee e quadri moderni.

L’archeorealismo è la nuova scienza che fonde assieme antichità e tendenze future, in una logica di fusioni opposte, che ricercano l’equilibrio tra linguaggi estetici temporalmente distanti. In questo dialogo tra due polarità apparentemente opposte: l’archeologia e l’arte contemporanea, l’archeorealismo realizza il sogno dell’archeologo e dell’artista moderno che vorrebbero in un museo-galleria la concentrazione massima di due linguaggi dell’arte storicamente diversi e spesso divisi. L’archeorealismo è una filosofia volta alla composizione dell’opera percorrendo momenti storici che segnano i flussi delle epoche e ne delineano i confini.  

Il fondatore  dell’archeorealismo, Evan De Vilde, ha pubblicato un manifesto dell’archeorealismo dove tratta punti salienti come il rispetto delle opere archeologiche e il livello di progettualità per il completamento dell’opera in un contesto storico contemporaneo. La filosofia base dell’archeorealismo è quella di dare un nuovo realismo, un nuovo equilibrio estetico e una nuova forza vitale ad un reperto storico che in sé incarna momenti epocali antichi ma spesso dimenticati. l’opera che ha esaurito il suo fascino e la sua carica storica prende una nuova vita e una nuova identità grazie all’archeorealismo. Si colora di nuovi interessi e parla attraverso installazioni contemporanee con linguaggi alternativi. Attraverso l’uso di materiali moderni come il plexiglass o l’acciaio inox, l’utilizzo di brand famosi o tecniche di progettazione dell’opera a fasi in diagrammi di Gannt, l’autore archeorealista tende a completare l’opera archeologica aggiungendo un pezzo di una realtà storica contemporanea che – senza distruggere né intaccare il reperto archeologico di base – ne dà nuova forma e nuova concettualità, nuova ispirazione filosofica e nuovo volto ad una verità che l’opera in principio teneva in sé celata.

l’opera più rappresentativa dell’archeorealismo è senza dubbio l’Opera  Ming. Un’opera semplice nella sua struttura, una scultura di arte contemporanea che è diventata icona della globalizzazione che diverrà. Opera Ming, rappresenta un antico vaso della dinastia Ming del 1480 racchiuso in una bottiglia di Coca Cola di vetro. L’Opera ha trovato autorizzazione legale da parte della Coca-Cola ed è stata realizzata dalla progettualità dell’artista Evan De Vilde anche grazie ad una equipe di altri artisti che ne hanno preso parte. Il concetto base è semplice, e spesso per tale motivo è dirompente: A cavallo del 1480-1500 la dinastia Ming reggeva le redini di un impero globale: la grande Cina, nello stesso periodo dall’altra parte del mondo un condottiero alla guida di tre caravelle scopriva l’America. Cina e America, dagli anni’60 in poi come icone dell’Occidente e dell’Oriente sono diventate le icone di passaggio ad un nuovo mondo, ad un nuovo livello di coscienza globale, opposti che unendosi e scontrandosi stanno generando il Nuovo Mondo, una nuova scoperta, che porta il nome di Globalizzazione. Un processo storico nel quale siamo immersi e che non si può più fermare. Spesso non ce ne rendiamo conto di essere attori anche inconsapevoli di un globo che cambia così come un pesce non si rende conto dell’acqua in cui è immerso. La migliore idea per rappresentare questa storia, è stata quella di incastrare un vaso di archeologia orientale Ming in una Bottiglia di CocaCola, due Brand forti, come scatole cinesi, due icone mondiali che hanno cambiato e che continueranno a mutare gli avvenimenti della storia per come noi la conosciamo. Opera Ming è un progetto ideato da Evan De Vilde grazie al contributo dei vasi Ming messi a disposizione del museo Archeologico Daphne Museum, che ne ha prodotto la struttura ideativa in piena conformità con il tema della globalizzazione. Mesi di contatti andati a vuoto per avere un nulla osta da parte della CocaCola Comany per la realizzazione dell’Opera, il creatore dell’archeologismo è entrato nelle vene della globalizzazione cercando di parlare in prima persona con chi comanda l’impero del Brand più famoso al mondo. l’impresa titanica è stata difficile tanto come un tempo avere un colloquio privato con uno degli imperatori Ming in persona. Dietro la Coca Cola, in verità, si nascondeva una fitta rete di aziende, centri, società, holding, marchi registrati, brevetti e formule segrete, ma tutto non aveva un nome di persona, non c’era qualcuno che il grande sistema lo comandava dall’interno, il sistema era come se si autogestisse da solo, come un animale cosciente che sopravvive anche senza un capo, anche senza un imperatore e che tende a globalizzare ogni individuo che ne faccia parte. Questa è la vera globalizzazione, e quando per la prima volta Evan De Vilde si dedicò alla realizzazione dell’opera in quella fitta nebbia della globalizzazione, dovette entrare nell’intricata foresta delle holding alimentari e per mesi si perse senza nessuna guida né orizzonti visibili. Poi trovò terra e da lì una serie di altre pratiche burocratiche all’ufficio brevetti e marchi per registrare l’opera, alla SIAE con le sue infinite e mostruose burocrazie  per depositarla e un fitto programma di eventi e comunicati stampa in internet per realizzare la campagna di diffusione dell’immagine, da facebook quanto in google, in msn quanto in twitter, perché oggi quello che conta passa per la rete del web, questa è globalizzazione.  l’opera Ming ha anche un suo sito web e in google la sua foto sta facendo il giro del mondo in otto lingue. Se questa non è globalizzazione?

l’idea della realizzazione di un’opera archeorealistica non sta solo nella sua realizzazione strumentale, ma soprattutto nell’idea e nel processo che porta l’autore o l’equipe progettuale alla realizzazione dell’opera stessa. Realizzare un’opera archeorealistica impegna uno staff di progettisti, di storici, di sociologi, di antropologi, continui breefing, tappe di meditato brain storming, poi il progetto secondo degli schemi di lavoro organizzati come se, chi lavorasse all’opera, stesse realizzando un progetto di uno Shuttle per conto di diverse nazioni committenti. Si va dalla realizzazione di comunicati stampa in multilingue, dall’ideazione del nome e dell’immagine, dalla creazione di un logo, di una pagina web, insomma l’opera non si limita solo ai materiali nuovi come plexiglass o acciaio, silicio o polimeri avanzati, i materiali forti della struttura artistica dell’opera sono anche le impalcature immateriali che fanno il nostro mondo e che stanno diventando i pilastri forti e rappresentativi. Intendiamo l’immagine, i brevetti, la comunicazione, la forza del brand, il web, tutti gli strumenti nuovi come il neuromarketing  che permette ad un brand di essere più visibile e più vincente rispetto ad un altro. L’idea dell’archeorealismo è quella di partire da un pezzo di storia dimenticato lasciato ad ammuffire in un angolo di qualche museo e reso vivo da una realizzazione contemporanea che all’opera archeologica ne dà un nuovo senso storico e nuovi spazi comunicativi. Quella dell’opera  Ming è sicuramente l’icona rappresentativa di questo nuovo movimento che si ispira alla globalizzazione e che racconta questo passaggio storico come frammento di una realtà che spinge il mondo a cambiare e a trasformarsi. Il nuovo che si stratifica sul vecchio senza per questo distruggerlo, l’opera nuova, infatti, non distrugge quella vecchia, fonda una nuova realtà visiva, un nuovo schema di comunicazione, racconta un frammento di storia partendo da quella precedente e più antica. Ma le opere di Archeorealismo realizzano anche sculture come intrecci di fibre ottiche su sculture romane, o gabbie di plexiglass e acciaio che imprigionano cubi e pietre medievali, vasi inca e atzechi con sgargianti vetri a forma di caramelle, papiri tibetani immersi in un silenzio rosso fuoco, icone bizantine in una policromia astratta, monete cinesi su pietra che compongono figure geometriche.

La novità dell’archeorealismo sta nel metodo di realizzazione dell’opera. Il committente che possiede l’opera archeologica incarica una equipe di artisti di realizzare l’opera, ognuno fa il suo progetto e motiva la sua realizzazione, una commissione sceglie l’opera vincente. l’opera è unica e irripetibile, perché si parte da una materia prima, che è un pezzo archeologico, unico e inimitabile. Le opere archeologiche, in questo caso, vengono fornite dal Daphne Museum che le acquista da ogni parte del globo attraverso case d’asta e le cataloga alla soprintendenza dei beni artistici e architettonici, un lavoro burocratico lungo, una preparazione progettuale programmata e articolata che mette assieme fantasia emotiva dell’autore tipica dell’insight creativo con la migliore razionalità e l’organizzazione delle più moderne imprese manageriali che si rispettino. Inoltre la novità sta nei materiali usati, tre materiali principali per la realizzazione di un opera scultorea archeorealista: materiale primo, è l’opera archeologica in sé, secondo materiale è il nuovo materiale o nuovo brand da utilizzare, come l’acciaio, i polimeri, un brand come Coca-Cola, ecc. il terzo è un materiale nuovo, è una struttura immateriale, fatta di brand, immagine, design, brevetto, marchio registrato, sito web, comunicazione, diffusione dell’immagine, ecc. Tutta una impalcatura che sta intorno a quell’opera e che ne regge la struttura, che ne fa parte, che ne cementa la realtà dell’opera, ma al contempo è immateriale, non tangibile, eppure difesa da leggi internazionali, codificata come valore, quantificabile come merce di scambio. Un tempo i materiali di prestigio usati per la realizzazione di un opera erano gli stessi di quelli per la realizzazione di monete, i metalli di scambio, che avessero valore economico, con l’archeorealismo si realizza una impalcatura di materiali che siano a valore anche immateriale: i trade mark, i copyright, i brand, i web site, perché l’opera archeorealista non resta confinata in quella materia visibile nella galleria o nel museo, ma continua, in modo immateriale, in internet, attraverso marchi registrati, fascicoli brevettuali, concetti immateriali che fanno l’opera, addirittura l’opera stessa viene progettata grazie a queste strutture immateriali e senza le quali l’opera sarebbe solo materia, scultura, quadro, installazione, confinata in sé stessa.

Pensandoci bene, un po’ tutte le opere hanno dietro di sé tutta una serie di impalcature immateriali, come le opere di Picasso o di Monet, dalla firma come marchio registrato ai copyright, dai siti web, alla diffusione di quella che ne è diventato un Brand o un’icona di un movimento. Eppure tutto l’impianto immateriale dell’opera non era nell’intenzione dell’artista al momento della sua realizzazione, semmai è stato creato dopo e con una certa lentezza e spesso dopo la morte dell’artista stesso. Nell’archeorealismo, la novità, sta nel fatto che uno dei materiali che formano l’opera è “un’impalcatura immateriale”, ed è progettata dall’artista, è voluta, inscritta nell’opera, ed è necessaria affinché l’opera sia viva.